Wednesday, May 22, 2013

Arconte con te, vel shift

Da agnostico mi è ostico riconoscere i miei santi, ma tanti errori non bastano all'afrore: occorre invece soltanto una parola, taciuta o detta nella fretta.
Con questo dovrei avere soddisfatto la sete di ruggine alle sbarre, e torno al bianco declinato nei decenni.
La fisica donata al popolo soccorre: il bianco essendo la somma dei colori, è quanto più distante dal vuoto circostante. Evidentemente non bastava.
Ricomincio e rifinisco.
Il bianco, dicevo, non è il vuoto. O perlomeno non è la sua paura.
Sa bene il fumatore che il bianco è la cartina presto piena di tabacco.
E tuttavia c'è bianco e bianco, anche a non essere creativi dell'ultimo prodotto per bucato.
Lo specchio, ad esempio, non è bianco, ma l'iride vi annega facilmente, immemore di quanto la circonda - e vorrei pure vedere quell'occhio che si guarda, teoria dell'infinito speculare senza fine e senza inizio.
Punto e a capofitto.
Dicevo, il bianco è un'altra storia, parente stretta di quell'aporia demente e insufficiente - la recita dell'egida cadente, la svista dei molteplici punti e virgola di vista, l'apostrofo di oroscopi fallaci e di fin troppo esatte cronache mondate del nero macilento dei silenzi.
Profondi girotondi.
Tornare indietro, certo: presunta scorciatoia sull'avanti -  o stare fermi, fin quando almeno le tue labbra sono rosa, piene e morbide di gioia, e precedevi le mie malinconie facendo di pozzanghere i laghi di consenso a posteriori, conditi dell'afflato di agnizioni inaspettate.
I miei occhi chiusi.


Qual è il timore che incoraggia le mie fughe?
Quale la corda che ti scioglie?
Qual è il torto che ha ragione?
Quale perché risponde infine al come?

E quando e dove, come no.
Lo so, ma senza prove.

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